Il saluto di mons. Mariano Crociata (segretario generale Cei)
Cari amici,
sono molto lieto di essere qui a rivolgervi il mio cordiale saluto e un vivo augurio all’avvio dei lavori del 24esimo Congresso nazionale, che si conferma come l’appuntamento di maggior rilievo nel cammino delle vostre Associazioni.
La mia presenza vuole essere innanzitutto espressione dell’apprezzamento dei Vescovi italiani per l’opera che svolgete nelle comunità ecclesiali e nei territori del nostro Paese, quale rete di iniziative di formazione sociale e spirituale, di servizio alle persone, di promozione culturale e solidaristica, radicata nella vita quotidiana della nostra gente.
Avete scelto di assumere e promuovere all’interno del vostro progetto la prospettiva degli Orientamenti pastorali dell’episcopato italiano per il decennio 2010-2020 su Educare alla vita buona del Vangelo. I Vescovi sottolineano che «la capacità di vivere il lavoro e la festa come compimento della vocazione personale appartiene agli obiettivi dell’educazione cristiana» (n. 54), la quale persegue in tal modo la realizzazione delle dimensioni essenziali della persona credente e
dell’intera comunità ecclesiale. Dedicandosi a queste attività, le ACLI non rendono solo un servizio apprezzato alla Chiesa, ma si adoperano per una autentica umanizzazione dell’intera società italiana e contribuiscono alla sua crescita.
Il tema che avete messo al centro dei lavori congressuali è particolarmente esigente e cruciale nella fase che stiamo attraversando: Rigenerare comunità per ricostruire il Paese. ACLI artefici di democrazia partecipativa e buona economia. Non è difficile leggervi la constatazione della fragilità del tessuto etico e civile, delle accresciute distanze fra i soggetti sociali, anche a causa della crisi non solo economica che ci
colpisce, forse perfino della spinta alla dissoluzione della persona, non raramente messa in questione nei suoi cardini fondamentali. Allo stesso tempo, però, un titolo come quello che avete scelto contiene un messaggio di speranza, mentre indica le direttrici verso cui muovere, nel segno della responsabilità diffusa e del bene integrale della persona e della comunità.
Non vi prefiggereste obiettivi così ambiziosi, se non nutriste la convinzione che non siamo condannati a rimanere vittime degli eventi, ma che è possibile abbracciare la responsabilità di farsi protagonisti, così da orientare la storia verso sviluppi di giustizia, procedendo con ragionevolezza, guidati dalla carità e dalla verità. A tal fine, è necessario che, accanto alla difesa dei diritti, non venga meno il senso dei doveri, la competenza nel proprio lavoro, la correttezza nello svolgimento di compiti istituzionali e nell’osservanza delle leggi, la giustizia nei rapporti sociali, e, qualunque sia il ruolo sociale, il rispetto della cosa pubblica e la ricerca sincera del bene comune.
In questa direzione, nel gennaio scorso, il Santo Padre Benedetto XVI ribadiva che «non dobbiamo scoraggiarci ma riprogettare risolutamente il nostro cammino, con nuove forme di impegno. La crisi può e deve essere uno sprone a riflettere sull’esistenza umana e sull’importanza della sua dimensione etica… per darci nuove regole che assicurino a tutti la possibilità di vivere dignitosamente e di sviluppare le proprie capacità a beneficio dell’intera comunità». Senza perdere di vista quanti un lavoro non ce l’hanno ancora o non ce l’hanno più, dobbiamo adoperarci affinché ogni persona possa abbracciare e svolgere «un lavoro che lasci uno spazio sufficiente per ritrovare le proprie radici a livello
personale, familiare e spirituale» (Caritas in veritate, n. 63). Voi parlate dell’esigenza di rigenerare il tessuto comunitario al fine di «ricostruire il Paese». Merita far risaltare nel tema del Congresso tale riferimento non generico alla società, ma alla comunità, quale soggetto della novità da costruire. Già questa è una risposta alle questioni più impellenti della vita di oggi: c’è futuro per l’Italia a condizione di costruire nuove relazioni ispirate a solidarietà,
condivisione e comunione.
Anche le comunità cristiane sono toccate da questo appello, anzi sono in prima fila. La Chiesa non si chiama fuori dalle condizioni dell’ora presente. L’intera storia cristiana sta lì a mostrarlo: i credenti operano nel vivo dello scorrere del tempo, pur senza lasciarsi rinchiudere completamente in esso. Avvertiamo e subiamo anche noi lo spaesamento di questa stagione storica, ma insieme a molti nostri contemporanei intravediamo non poche potenzialità e promesse; a tutti chiediamo di guardare con noi a orizzonti più vasti. «Partire da noi», si legge nei vostri orientamenti congressuali: non per un vizio, ahimè frequente, di ripiegamento autoreferenziale, ma nell’impegno costante a «considerare la nostra vocazione».
Una felice coincidenza vede il vostro Congresso svolgersi a pochi giorni dalla beatificazione di Giuseppe Toniolo, insigne studioso di temi sociali ed economici e protagonista e animatore straordinario della presenza dei cattolici nel nostro Paese. Nel richiamarne la figura, al Regina Coeli di domenica scorsa, Benedetto XVI ha messo in luce che «il suo messaggio è di grande attualità, specialmente in questo tempo: il beato Toniolo indica la via del primato della persona umana e della solidarietà».
E in uno scritto sui veri riformatori sociali, il nuovo beato notava che solo una nuova «inondazione di misericordia e di carità… recherà a salvamento la civiltà moderna». Lette alla luce dell’intera testimonianza del Toniolo, queste parole danno alla carità, sempre necessaria, il volto dell’impegno congiunto dell’intelligenza e della volontà, della libertà e della creatività, a favore dell’uomo, che è «il primo capitale da salvaguardare e valorizzare» (Caritas in veritate, n. 25). Anche questi
motivi sollecitano a mettere al primo posto l’impegno formativo, nella convinzione che senza vita spirituale e coerenza etica non cresce un adeguato e fecondo impegno sociale per la promozione della persona e della collettività.
Con questi pensieri accompagno i vostri lavori assembleari, affidando ogni buon proposito nelle mani di Colui che ha salvato tutto l’uomo: mani che hanno conosciuto il lavoro e che non si stancano di benedirne incessantemente e con larghezza i frutti.