A dieci anni dalla tragedia del 3 ottobre 2013, in cui hanno trovato la morte 368 persone, perlopiù eritree, al largo dell’isola di Lampedusa, Rimini ha ricordato l’evento e le vittime in una iniziativa promossa con il patrocinio del Comitato 3 ottobre e la collaborazione del Comune di Rimini e della Diocesi.
Nella serata del 3 ottobre, sul sagrato del Duomo (le porte della Basilica sono restate simbolicamente aperte) “Rimini ricorda Lampedusa” ha visto le testimonianze di alcuni ragazzi provenienti dall’Eritrea e gli interventi del vescovo Nicolò Anselmi e dell’assessora Francesca Mattei, mentre 368 lumini venivano accesi, uno per ogni vittima del tragico naufragio.
La giornata è stata promossa dal Coordinamento delle Associazioni che dal maggio 2019 porta avanti, a cadenza periodica, il flashmob “MioFratelloMuoreInMare” per sensibilizzare la società civile sul fenomeno delle morti ai confini europei. Fanno parte del Coordinamento delle Associazioni Acli, Agesci, Agecs, Anpi provinciale, Anolf, Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, Associazione Itaca, Avvocato di strada, Caritas diocesana, Campo Lavoro Missionario, Cngei, Circolo Libertà e Giustizia, Coordinamento Democrazia Costituzionale, Cgil, Libera, Associazione Linea d’Ombra di Trieste, Masci, Manifesto contro l’ignoranza, Mediterranea Saving Humans, Movimento dei Focolari, Pacha Mama Commercio Equo e Solidale, Vite in Transito.
Oltre a tale evento commemorativo, “Rimini ricorda Lampedusa” ha previsto anche momenti di condivisione e formazione, concerti con testimonianze e l’incontro “Scatti al confine” con il fotoreporter Francesco Malavolta, il primo ad arrivare a Lampedusa in quel 3 ottobre del 2013.
Dal 2013 a oggi, secondo i dati dell’Unhcr (Agenzia Onu per i Rifugiati) oltre 24mila rifugiati e migranti sono morti o risultano dispersi nel mar Mediterraneo, 2.500 in questo ultimo anno.
Spiegano gli organizzatori: «Siamo certi che alcune strade percorse in questi anni ledono l’umanità e i diritti universali dell’uomo e diciamo a gran voce che il nostro Paese può fare di meglio! Può applicare la sua creatività e il suo pensiero divergente, che già tante volte in passato lo ha reso un Paese all’avanguardia e capace di cambiamento. Non possiamo non pensare allo sguardo acuto del pedagogista Andrea Canevaro, già cittadino onorario di Rimini, che immaginava un ponte fra la Sicilia e il Nord-Africa e auspicava un forte intervento di educatori, pedagogisti e psicologi nella ideazione e impostazione del sistema di accoglienza e integrazione.
Come ci dicono anche le esperienze cittadine, una prima accoglienza effettivamente accogliente può fare la differenza, uno sguardo che tutela e talvolta restituisce dignità può contribuire a sanare le ferite e a rendere la nostra società più giusta e umana. Forse occorre innanzitutto mettere da parte la paura, come è avvenuto in gran parte nella recente esperienza di accoglienza dei profughi ucraini, dove abbiamo visto allargarsi le potenzialità, legislative e personali».