Camaldoli 12-14 ottobre: la responsabilità dei laici in una associazione ecclesiale e politica

CAMALDOLI,  12-14 ottobre 2012

Restituzione dei lavori di gruppo

A cura di Paola Vacchina – Responsabile nazionale Funzione formazione

 

Introduzione

 

Nel lavoro dei gruppi siamo partiti dalla consapevolezza, riscoperta in questi giorni, della grande Responsabilità che ci appartiene come persone – laici costituenti il popolo di Dio – e come Acli – una porzione di  chiesa – rispetto al processo che è in corso, ossia alla Recezione del Concilio Vaticano II, che è certamente questione di magistero, di teologia, ma anche di vita vissuta dei fedeli, di forme concrete di incarnazione, e che dunque riguarda noi tutti. Una recezione che concerne i contenuti del Concilio, ma anche lo stile e il modo di essere chiesa che esso ha portato.

Ci siamo poi riconosciuti  associazione pienamente ecclesiale ed associazione pienamente politica, e in questa prospettiva ci siamo domandati: che contributo possiamo concretamente portare nell’attuale momento storico, oltre all’importante arricchimento personale di questi giorni?

 

1) Innanzitutto nei diversi gruppi è emersa con forza l’idea che abbiamo davanti almeno 3 anni nei quali parlare di più del Concilio, recuperarne il lessico, promuovere a tutti i livelli (dal circolo/alla parrocchia/ alle realtà provinciali o regionali, compresa la formazione dei dirigenti), iniziative e attività formative che riguardino i contenuti dei documenti del Concilio e lo stile del Vaticano II.

Dunque far vivere nelle nostre realtà il fermento del Concilio, invertire la rotto rispetto alla chiusura che sentiamo, e parlo dal nostro specifico punto di osservazione, con la lettura che le Acli danno del Concilio Vaticano II.

Dunque Formazione, per essere più riconosciuti in ambito ecclesiale e per offrire meglio il nostro servizio, anche e forse prioritariamente nelle parrocchie: dobbiamo infatti essere più preparati, dobbiamo essere più maturi come cristiani laici.

Formazione, ma anche ripresa di una centralità fondativa della Parola di Dio, una dimensione spirituale incarnata: percorsi di ascolto insieme, di meditazione, di confronto e discernimento concreto nelle diverse dimensioni della nostra esperienza associativa…

Ma la formazione radicata nella Parola non basta, occorre poi una Progettualità concreta per tradurre in pratica le nostre fedeltà al Vangelo e al Concilio.

 

2) Abbiamo poi sentito risuonare nei gruppi un’Esigenza di coerenza, in particolare riguardo alle relazioni tra noi, alla trasparenza, all’etica e alla questione della sobrietà e della chiesa povera: questo richiamo alla coerenza vale prima di tutto per noi come Acli, anche nella modalità di lavoro tra noi (le nostre riunioni, le nostre prassi, le nostre forme organizzative) e poi la rivolgiamo anche alla gerarchia ecclesiale,  perché ricchezza ostentata e forme autoritarie di relazione non scandalizzino né allontanino.

 

3) In terzo luogo ci siamo interrogati sul nostro Servizio nella comunità umana, nella società, riguardo allo tzunami che stiamo attraversando, che non lascerà più nulla come prima a livello sociale, economico: il nostro compito è di dirlo di più, con un linguaggio accessibile, di aiutare le persone a orientarsi in questa nuova realtà e a concretamente affrontarla, ad attrezzarsi per vivere dentro questo cambio di epoca che non finirà con la crisi, ma chiederà vita più sobria, nuova laboriosità, forme leggere di organizzazione. E questo con sguardo europeo e mondiale non ripiegato su di noi. Dobbiamo farlo continuando a sperare, scegliendo di sperare! Ricordando che il sublime gregoriano nacque perché non c’erano più strumenti e si poteva suonare solo con le voci.

Quindi la domanda è: nello tzunami della crisi e dell’impoverimento, come rimettiamo in pista la nostra dimensione associativa? In questo contesto i nostri servizi concreti sono certamente utili, ma coinvolgere le persone nel riflettere e discernere cosa sta accadendo lo è altrettanto, ricordiamoci il “primato della coscienza”. Non dunque solo il grande convegno, ma una prassi associativa più diffusa, ordinaria, di formazione, aggregazione, riflessione, maturazione di scelte…

 

4) Un quarto punto riguardo alla Politica.  Le Acli sono un’associazione politica, ma devono esserlo vedendo la politica come una parte o una connotazione del loro progetto più complessivo, educativo, sociale, di servizio, imprenditivo, ecclesiale…

In politica gli aclisti devono andare con intelligenza delle cose, competenza, gratuità.

La politica è prima di tutto bisogno di partecipazione, va vissuta come dono di sé, nella sobrietà, come servizio.

Ma è stato detto anche qualcos’altro: come Acli dovremmo imparare a costruire insieme pensiero politico comune, ed iniziativa politica coordinata, tra dirigenti e amministratori. Dovremmo fare associazione anche prendendo iniziative concrete politiche, ad esempio lo stesso giorno in 100/1000 consigli comunali. Così possiamo testimoniare un’altra politica, nuova, che parte dalle comunità, che chiede di emergere.

 

5) Nel quinto ed ultimo punto raccolgo alcuni stimoli ancora molto concreti e significativi.

Ci ha molto colpito in questi giorni, praticamente in tutte le relazioni, il richiamo alla non indifferenza, non neutralità, all’osare, allo schierarsi, dicendo con coraggio e chiarezza quello che si pensa. Questo richiamo al tema del rischio che è stato accennato in 3 modi:

Rischio educativo,  sostenendo le famiglie nelle loro difficoltà.

Rischio imprenditoriale. Ci raggiungono tante persone che vorrebbero lavorare e che vedono nelle Acli una possibilità. Coordinare la domanda di nuovi servizi con la costruzione di nuovo lavoro è una pista interessante. Creare qualche lavoro, mettendo insieme l’ascolto sistematizzato (attraverso soprattutto i servizi che già accolgono le persone), con i nostri talenti e con la formazione che facciamo e la capillarità che abbiamo.

 

Rischio ecclesiale. Il Concilio lo dovremmo vivere nel nostro territorio. La mancanza di preti porterà a dover prendere più responsabilità come laici nelle parrocchie. Immaginare una comunità cristiana diversa. Con dei progetti in cui ciascuno di noi – persone e associazioni – metta in campo i suoi talenti e il suo carisma.

Questo è “conciliare”, questo è essere popolo con i nostri territori, non necessariamente solo con i cristiani.

Assumere questo rischio, osare, è davvero “conciliare”, è essere popolo di Dio con i nostri territori e non necessariamente solo con i cristiani.