DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA

Capitolo 6. Il lavoro umano

a) Il compito di coltivare e custodire la terra
255 L’Antico Testamento presenta Dio come Creatore onnipotente (cfr. Gen 2,2; Gb 38-41; Sal 104; Sal 147), che plasma l’uomo a Sua immagine, lo invita a lavorare la terra (cfr. Gen 2,5-6) e a custodire il giardino dell’Eden in cui lo ha posto (cfr. Gen 2,15). Alla prima coppia umana Dio affida il compito di soggiogare la terra e di dominare su ogni essere vivente (cfr. Gen 1,28). Il dominio dell’uomo sugli altri esseri viventi, tuttavia, non deve essere dispotico e dissennato; al contrario, egli deve «coltivare e custodire» (cfr. Gen 2,15) i beni creati da Dio: beni che l’uomo non ha creato, ma ha ricevuto come un dono prezioso posto dal Creatore sotto la sua responsabilità. Coltivare la terra significa non abbandonarla a se stessa; esercitare il dominio su di essa è averne cura, così come un re saggio si prende cura del suo popolo e un pastore del suo gregge.

Foto Salvatore Ciambra

Foto Salvatore Ciambra

263 Il lavoro rappresenta una dimensione fondamentale dell’esistenza umana come partecipazione non solo all’opera della creazione, ma anche della redenzione. Chi sopporta la penosa fatica del lavoro in unione con Gesù, in un certo senso, coopera con il Figlio di Dio alla Sua opera redentrice e si mostra discepolo di Cristo portando la Croce, ogni giorno, nell’attività che è chiamato a compiere. In questa prospettiva, il lavoro può essere considerato come un mezzo di santificazione e un’animazione delle realtà terrene nello Spirito di Cristo. Così raffigurato il lavoro è espressione della piena umanità dell’uomo, nella sua condizione storica e nella sua orientazione escatologica: la sua azione libera e responsabile ne svela l’intima relazione con il Creatore e il suo potenziale creativo, mentre ogni giorno combatte lo sfiguramento del peccato, anche guadagnandosi il pane con il sudore della fronte.
265 I Padri della Chiesa non considerano mai il lavoro come «opus servile» — tale era ritenuto, invece, nella cultura loro contemporanea —, ma sempre come «opus humanum», e tendono a onorarne tutte le espressioni. Mediante il lavoro, l’uomo governa con Dio il mondo, insieme a Lui ne è signore, e compie cose buone per sé e per gli altri. L’ozio nuoce all’essere dell’uomo, mentre l’attività giova al suo corpo e al suo spirito. Il cristiano è chiamato a lavorare non solo per procurarsi il pane, ma anche per sollecitudine verso il prossimo più povero, al quale il Signore comanda di dare da mangiare, da bere, da vestire, accoglienza, cura e compagnia (cfr. Mt 25,35-36). Ciascun lavoratore, afferma sant’Ambrogio, è la mano di Cristo che continua a creare e a fare del bene.
266 Con il suo lavoro e la sua laboriosità, l’uomo, partecipe dell’arte e della saggezza divina, rende più bello il creato, il cosmo già ordinato dal Padre;  suscita quelle energie sociali e comunitarie che alimentano il bene comune, a vantaggio soprattutto dei più bisognosi. Il lavoro umano, finalizzato alla carità, diventa occasione di contemplazione, si trasforma in devota preghiera, in vigile ascesi e in trepida speranza del giorno senza tramonto: «In questa visione superiore, il lavoro, pena e insieme premio dell’attività umana, comporta un altro rapporto, quello cioè essenzialmente religioso, che è stato felicemente espresso nella formula benedettina: “Ora et labora”! Il fatto religioso conferisce al lavoro umano una spiritualità animatrice e redentrice. Tale parentela tra lavoro e religione riflette l’alleanza misteriosa, ma reale, che intercede tra l’agire umano e quello provvidenziale di Dio».