Nel 1915, esattamente un secolo fa, cominciavano nell’impero ottomano i massacri e le deportazioni della popolazione armena, che in pochi anni avrebbero provocato 1,3 milioni di vittime, secondo la maggior parte degli storici, e tra i 250 e i 500 mila morti per le autorità turche.
Papa Francesco, in occasione della messa celebrata per il centenario del martirio armeno domenica 12 aprile, lo ha definito «il primo genocidio moderno».
Di seguito, il discorso pronunciato dal Papa.
Cari fratelli e sorelle armeni,
un secolo è trascorso da quell’orribile massacro che fu un vero martirio del vostro popolo, nel quale molti innocenti morirono da confessori e martiri per il nome di Cristo (cfr. Giovanni Paolo II e Karekin II, “Dichiarazione comune”, Etchmiadzin, 27 settembre 2001).
Non vi è famiglia armena ancora oggi, che non abbia perduto in quell’evento qualcuno dei suoi cari: davvero fu quello il “Metz Yeghern”, il “Grande Male”, come avete chiamato quella tragedia. In questa ricorrenza provo un sentimento di forte vicinanza al vostro popolo e desidero unirmi spiritualmente alle preghiere che si levano dai vostri cuori, dalle vostre famiglie, dalle vostre comunità.
Ci è data un’occasione propizia di pregare insieme nell’odierna celebrazione, in cui proclamiamo Dottore della Chiesa san Gregorio di Narek. Esprimo viva gratitudine per la loro presenza a Sua Santità Karekin II, Supremo Patriarca e Catholicos di Tutti gli Armeni, a Sua Santità Aram I, Catholicos della Grande Casa di Cilicia, e a Sua Beatitudine Nerses Bedros XIX, Patriarca di Cilicia degli Armeni Cattolici.
San Gregorio di Narek, monaco del X secolo, più di ogni altro ha saputo esprimere la sensibilità del vostro popolo, dando voce al grido, che diventa preghiera, di un’umanità dolente e peccatrice, oppressa dall’angoscia della propria impotenza ma illuminata dallo splendore dell’amore di Dio e aperta alla speranza del suo intervento salvifico, capace di trasformare ogni cosa. «In virtù della sua potenza, io credo con una speranza che non tentenna, in sicura attesa, rifugiandomi nelle mani del Potente … di vedere Lui stesso, nella sua misericordia e tenerezza e nell’eredità dei Cieli» (San Gregorio di Narek, “Libro delle Lamentazioni”, XII).
La vostra vocazione cristiana è assai antica e risale al 301, anno in cui san Gregorio l’Illuminatore guidò alla conversione e al battesimo l’Armenia, la prima tra le nazioni che nel corso dei secoli hanno abbracciato il Vangelo di Cristo. Quell’evento spirituale ha segnato in maniera indelebile il popolo armeno, la sua cultura e la sua storia, nelle quali il martirio occupa un posto preminente, come attesta in modo emblematico la testimonianza sacrificale di san Vardan e dei suoi compagni nel V secolo.
Il vostro popolo, illuminato dalla luce di Cristo e con la sua grazia, ha superato tante prove e sofferenze, animato dalla speranza che deriva dalla Croce (cfr. Rm 8,31-39). Come ebbe a dirvi san Giovanni Paolo II: «La vostra storia di sofferenza e di martirio è una perla preziosa, di cui va fiera la Chiesa universale. La fede in Cristo, redentore dell’uomo, vi ha infuso un coraggio ammirevole nel cammino, spesso tanto simile a quello della croce, sul quale avete avanzato con determinazione, nel proposito di conservare la vostra identità di popolo e di credenti» (Omelia, 21 novembre 1987).
Questa fede ha accompagnato e sorretto il vostro popolo anche nel tragico evento di cento anni fa che «generalmente viene definito come il primo genocidio del XX secolo» (Giovanni Paolo II e Karekin II, “Dichiarazione Comune”, Etchmiadzin, 27 settembre 2001). Il Papa Benedetto XV, che condannò come «inutile strage» la Prima Guerra Mondiale (AAS, IX [1917], 429), si prodigò fino all’ultimo per impedirlo, riprendendo gli sforzi di mediazione già compiuti dal Papa Leone XIII di fronte ai «funesti eventi» degli anni 1894-96.
Egli scrisse per questo al sultano Maometto V, implorando che fossero risparmiati tanti innocenti (cfr. Lettera del 10 settembre 1915) e fu ancora lui che, nel Concistoro Segreto del 6 dicembre 1915, affermò con vibrante sgomento: «Miserrima Armenorum gens ad interitum prope ducitur», (AAS, VII [1915], 510).
Fare memoria di quanto accaduto è doveroso non solo per il popolo armeno e per la Chiesa universale, ma per l’intera famiglia umana, perché il monito che viene da questa tragedia ci liberi dal ricadere in simili orrori, che offendono Dio e la dignità umana. Anche oggi, infatti, questi conflitti talvolta degenerano in violenze ingiustificabili, fomentate strumentalizzando le diversità etniche e religiose. Tutti coloro che sono posti a capo delle Nazioni e delle Organizzazioni internazionali sono chiamati ad opporsi a tali crimini con ferma responsabilità, senza cedere ad ambiguità e compromessi.
Questa dolorosa ricorrenza diventi per tutti motivo di riflessione umile e sincera e di apertura del cuore al perdono, che è fonte di pace e di rinnovata speranza. San Gregorio di Narek, formidabile interprete dell’animo umano, sembra pronunciare per noi parole profetiche: «Io mi sono volontariamente caricato di tutte le colpe, da quelle del primo padre fino a quello dell’ultimo dei suoi discendenti, e me ne sono considerato responsabile» (Libro delle Lamentazioni, LXXII).
Quanto ci colpisce questo suo sentimento di universale solidarietà! Come ci sentiamo piccoli di fronte alla grandezza delle sue invocazioni: «Ricordati, [Signore,] … di quelli che nella stirpe umana sono nostri nemici, ma per il loro bene: compi in loro perdono e misericordia (…) Non sterminare coloro che mi mordono: trasformali! Estirpa la viziosa condotta terrena e radica quella buona in me e in loro» (ibid., LXXXIII).
Dio conceda che si riprenda il cammino di riconciliazione tra il popolo armeno e quello turco, e la pace sorga anche nel Nagorno Karabakh. Si tratta di popoli che, in passato, nonostante contrasti e tensioni, hanno vissuto lunghi periodi di pacifica convivenza, e persino nel turbine delle violenze hanno visto casi di solidarietà e di aiuto reciproco. Solo con questo spirito le nuove generazioni possono aprirsi a un futuro migliore e il sacrificio di molti può diventare seme di giustizia e di pace.
Per noi cristiani, questo sia soprattutto un tempo forte di preghiera, affinché il sangue versato, per la forza redentrice del sacrificio di Cristo, operi il prodigio della piena unità tra i suoi discepoli. In particolare rinsaldi i legami di fraterna amicizia che già uniscono la Chiesa Cattolica e la Chiesa Armena Apostolica.
La testimonianza di tanti fratelli e sorelle che, inermi, hanno sacrificato la vita per la loro fede, accomuna le diverse confessioni: è l’ecumenismo del sangue, che condusse san Giovanni Paolo II a celebrare insieme, durante il Giubileo del 2000, tutti i martiri del XX secolo. Anche la celebrazione di oggi si colloca in questo contesto spirituale ed ecclesiale.
A questo evento partecipano rappresentanze delle nostre due Chiese e si uniscono spiritualmente numerosi fedeli sparsi nel mondo, in un segno che riflette sulla terra la comunione perfetta che esiste tra gli spiriti beati del cielo. Con animo fraterno, assicuro la mia vicinanza in occasione della cerimonia di canonizzazione dei martiri della Chiesa Armena Apostolica, che avrà luogo il 23 aprile prossimo nella Cattedrale di Etchmiadzin, e alle commemorazioni che si terranno ad Antelias in luglio. Affido alla Madre di Dio queste intenzioni con le parole di san Gregorio di Narek:
«O purezza delle Vergini, corifea dei beati,
Madre dell’edificio incrollabile della Chiesa,
Genitrice del Verbo immacolato di Dio,
(…)
rifugiandoci sotto le ali sconfinate di difesa della tua intercessione,
innalziamo le nostre mani verso di te,
e con indubitata speranza crediamo di essere salvati».
(Panegirico alla Vergine).