Quello delle badanti è un mondo complesso, variegato, sfaccettato, che non può essere etichettato con stereotipi o facili impressioni. Non si può, infatti, non considerare che l’assistenza familiare è un fatto cruciale del nostro tempo: la cura di anziani e malati da una parte e un pezzo d’economia (che coinvolge principalmente le persone straniere) dall’altra.
Ciò che tutti sappiamo è che sul territorio riminese le persone che si prendono cura degli anziani arrivano – prevalentemente – dall’Est Europa. Si tratta di ucraine, rumene e moldave che accettano di fare quella che viene definita una “convivenza” ossia di andare a vivere con chi necessita di cura. L’età media di queste donne (dati relativi al 2014, iscritti alla banca dati delle Acli provinciali) abbraccia un ventaglio molto ampio: 22 le under 30, 55 le donne dai 31 ai 40 anni; mentre i numeri più alti si concentrano nelle fasce di età 41/50 (in 150) e 51/60 (in 162) mentre sono 54 le donne che superano i 61 anni. Altro elemento noto è che negli ultimi anni sono entrate nel “mercato della cura” anche le donne italiane, altra faccia della crisi economica.
Ma scaviamo un po’ più a fondo. Da qualche mese il servizio dello sportello badanti dalle Acli Provinciali è passato al Patronato Acli, sotto la guida della dottoressa Annamaria Semprini, Professional Counselor Biosistemico che affronta i colloqui che avvengono prima di compilare l’apposita scheda, individuando debolezze, capacità, competenze e/o forze nelle assistenti familiari.
Dottoressa Semprini, può farci un quadro dell’attuale situazione?
«Sì. Se è vero che le donne dell’Est Europa sono quelle più presenti è altrettanto vero che negli ultimi anni è aumentato il numero delle italiane che chiedono lavoro in questo settore».
Questo è il punto di vista dell’offerta. Invece la domanda?
«Sulla domanda posso solo dire che le famiglie sono più propense ad avere delle donne italiane nelle case dei loro cari. E non ne fanno una questione di “discriminazione” ma di cultura affine. Per esempio emerge molto la questione del cibo, della lingua, di un diverso modo di fare le cose, ecc. Di contro, le italiane non riescono a soddisfare tutte le loro esigenze».
Quali esigenze?
«La prima, quella più importante, è la non possibilità per le italiane di fare la “convivenza”. Le italiane, nel maggior numero dei casi, hanno famiglia, figli da accudire e non sono disposte a fare dei veri e proprio trasferimenti. Magari fanno anche il tempo pieno ma non la convivenza. E questo è un problema non da poco».
Questo problema sorge, essenzialmente, perché chi necessita di una badante è molto spesso una persona non autosufficiente?
«Sì, da quello che abbiamo potuto costatare le famiglie che affidano le cure dei loro cari a una terza persona lo fanno perché sopraggiunge uno stato di non autosufficienza. A questo punto la convivenza è fondamentale».
Le donne straniere chiamate a fare questo lavoro hanno, invece, la giusta preparazione?
«Io posso solo dire che per avere permessi e documenti devono sostenere un esame d’italiano e questo risolve la questione della lingua. Poi ho incontrato cuoche e donne molto responsabili, votate alla cura della persona, soprattutto le rumene e le ucraine. Quello che mi preme dire è che stiamo andando, come Acli, verso una direzione di maggiore professionalità. Non tutte possono fare le badanti. Se da me viene una donna che ha fatto la stagione estiva e adesso vuole buttarsi in questo mondo io non la iscrivo alla lista delle disponibilità. Quello della badante non è un lavoro improvvisato. Questo nostro lavoro è un modo per rassicurare le famiglie ma anche di rispetto nei confronti delle persone che necessitano di cura».
Purtroppo spesso si diffonde anche il fenomeno del lavoro nero. Una badante costa a una famiglia (contratto base) dai 700 agli 800 euro, più 100 euro al mese circa di contributi. Non sempre le famiglie hanno le possibilità economiche per affrontare queste spese allora puntano al part time. Un fenomeno che va abbattuto anche perché crea sacche di illegalità sia da una parte che dall’altra.
Cosa può dirci a tal proposito?
«Posso solo riportare i quesiti che queste donne mi pongono. I privati versano oggi dei contributi per il loro futuro pensionistico ma ancora non esistono nei loro Paesi di provenienza, leggi che affrontano questo tema. Quello che si domandano è “vale la pena di investire oggi per un futuro fumoso?”. Io sono per la legalità e rispondo sempre di sì perché le leggi di tutela e chiarificazione fra gli Stati presto o tardi arrivano sempre».
Molto diffuso, invece è il passaparola tra le straniere che spesso – grazie a una fitta rete di contatti – si informano quando una famiglia ha bisogno. Un gran giro di numeri di telefono che può favorire e generare il sommerso.
Angela De Rubeis
(pubblicato sul settimanale diocesano “Il Ponte” dell’8 marzo 2015)