INCONTRO COL PAPA, Bergoglio contro la “cultura dello scarto”

«In Italia il 40% dei giovani non lavora. Basta trattarli da “materiale di scarto”!». Incontrando le ACLI per il 70° dalla fondazione, il Papa indica l’antidoto contro la “cultura dello scarto”, devota al dio-denaro, ovvero un “lavoro libero, creativo, partecipativo, solidale”.

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Punta dritto all’”anima” delle ACLI papa Francesco, incontrando le Associazioni Cristiane dei Lavoratori Italiani che celebrano oggi i 70 anni dalla loro fondazione. Ai settemila membri dell’associazione ricevuti in Aula Paolo VI, il Papa ricorda le battaglie di questi anni, affrontate sempre “con impegno e passione”, e li interpella sulle nuove sfide che si presentano oggi e “che richiedono nuove e qualificate risposte”.
A cominciare dalle “disuguaglianze”, la cui ampiezza e velocità di riproduzione supera limiti inimmaginabili qualche anno fa. «Ma questo non possiamo permetterlo! Dobbiamo proporre alternative eque e solidali che siano realmente praticabili», afferma il pontefice. Con una punta di amarezza illustra quindi il panorama che la società di oggi propone: «L’estendersi della precarietà, del lavoro nero e del ricatto malavitoso fa sperimentare, soprattutto tra le giovani generazioni, che la mancanza del lavoro toglie dignità, impedisce la pienezza della vita umana e reclama una risposta sollecita e vigorosa», sottolinea.

Di fronte a questo, Bergoglio rimarca la necessità e l’urgenza di una “risposta sollecita e vigorosa” contro un sistema economico mondiale “dove al centro non ci sono l’uomo e la donna”, bensì “un idolo: il dio-denaro” che “comanda”, “distrugge” e “provoca la cultura dello scarto”. Ovvero quella cultura per cui – ripete papa Francesco come un macabro ritornello – ormai «si scartano i bambini, perché non si fanno: si sfruttano o si uccidono prima di nascere; si scartano gli anziani, perché non hanno la cura dignitosa, non hanno le medicine, hanno pensioni miserabili… E adesso, si scartano i giovani».
La situazione dell’Italia lo dimostra più che mai: una terra “tanto generosa” che ospita al suo interno un 40% o poco di più di giovani dai 25 anni in giù che non hanno lavoro. Sono questi “materiale di scarto”, denuncia il pontefice, “ma sono anche il sacrificio che questa società, mondana e egoista, offre al dio-denaro, che è al centro del nostro sistema economico mondiale”.

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Per contrastare questo veleno, il successore di Pietro offre un antidoto: un “lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale”, attraverso il quale “l’essere umano esprima e accresca la dignità della propria vita”.
Libero – spiega – nel senso che l’uomo torni a essere “opera di Dio che, nel lavoro compiuto, incarna e prolunga l’immagine della sua presenza nella creazione e nella storia dell’uomo”. Spesso, invece, “il lavoro è succube di oppressioni a diversi livelli: dell’uomo sull’altro uomo; di nuove organizzazioni schiavistiche che opprimono i più poveri”, in particolare, donne e bambini vittime di “un’economia che obbliga a un lavoro indegno”. Allora, dice il Papa, “dobbiamo far sì che il lavoro non sia strumento di alienazione, ma di speranza e di vita nuova”. Che sia libero, appunto.

Ma il lavoro deve essere anche creativo, afferma il vescovo di Roma, perché «ogni uomo porta in sé una originale e unica capacità di trarre da sé e dalle persone che lavorano con lui il bene che Dio gli ha posto nel cuore». Ogni uomo e donna è cioè un “poeta”, “capace di fare creatività”, e questo può e deve emergere in “alcune forme di impresa, di lavoro collaborativo svolto in comunità” che consentano “un pieno sviluppo economico e sociale”. A maggior ragione, dice il Santo Padre, “non possiamo tarpare le ali a quanti, in particolare giovani, hanno tanto da dare con la loro intelligenza e capacità; essi vanno liberati dai pesi che li opprimono e impediscono loro di entrare a pieno diritto e quanto prima nel mondo del lavoro”.

Il lavoro deve essere pure partecipativo, prosegue Bergoglio: «Per poter incidere nella realtà, l’uomo è chiamato a esprimere il lavoro secondo la logica che più gli è propria, quella relazionale», ovvero «vedere sempre nel fine del lavoro il volto dell’altro e la collaborazione responsabile con altre persone». In questo senso è anche solidale: «Ogni giorno – riflette il Papa a braccio – voi incontrate persone che hanno perso il lavoro (questo fa piangere), o in cerca di occupazione. E prendono quello che capita. Alcuni mesi fa, una signora mi diceva che aveva preso un lavoro, 10/11 ore, in nero, a 600 euro al mese. E quando ha detto: “Ma, niente di più?” le hanno risposto: “Ah, se non le piace se ne vada! Guardi la coda che c’è dietro di lei”».
“Quante persone in cerca di occupazione”, esclama Francesco, quante persone “che vogliono portare a casa il pane: non solo mangiare, ma portare da mangiare, questa è la dignità. Il pane per la loro famiglia”. A tutti questi “bisogna dare una risposta”, oltre che offrire loro la propria vicinanza. In particolare le ACLI, attraverso i tanti “circoli”, possono essere “luoghi di accoglienza e di incontro”, sottolinea il pontefice, esortando l’associazione “ad offrire queste opportunità di lavoro e di nuovi percorsi di impiego e di professionalità”.

L'udienza generale di Papa Francesco
Dunque: libertà, creatività, partecipazione e solidarietà, ripete il Papa. Caratteristiche che «fanno parte della storia delle ACLI» e che oggi – dice – «più che mai siete chiamati a mettere in campo, senza risparmiarvi, a servizio di una vita dignitosa per tutti». Per motivare questo atteggiamento invita a pensare “ai bambini sfruttati”, come pure agli anziani “che hanno una pensione minima e non sono curati” o ai giovani che, “scartati dal lavoro”, “non sanno cosa fare, e sono in pericolo di cadere nelle dipendenze, cadere nella malavita, o andarsene a cercare orizzonti di guerra, come mercenari. Questo fa la mancanza di lavoro!”, afferma Francesco.

Il Papa tocca poi altri tre aspetti. Il primo è la presenza dell’associazione fuori d’Italia. Rileva quindi che molti giovani, oggi, «si spostano per cercare un lavoro adeguato ai propri studi o per vivere un’esperienza diversa di professionalità». L’incoraggiamento è ad accogliere questi ragazzi, «a sostenerli nel loro percorso, a offrire il vostro supporto per il loro inserimento. Nei loro occhi potete trovare un riflesso dello sguardo dei vostri padri o dei vostri nonni che andarono lontano per lavorare. Possiate essere per loro un buon punto di riferimento», raccomanda il Papa.

Si sofferma poi sui temi della lotta alla povertà e dell’impoverimento dei ceti medi che oggi impegna le ACLI. «La proposta di un sostegno non solo economico alle persone al di sotto della soglia di povertà assoluta, che anche in Italia sono aumentate negli ultimi anni, può portare benefici a tutta la società», dice. Allo stesso tempo, tuttavia, “va evitato che nella povertà scivolino coloro che fino a ieri vivevano una vita dignitosa». «Noi – afferma il Papa con crudo realismo – nelle parrocchie, nelle Caritas parrocchiali, vediamo questo tutti i giorni: uomini o donne che si avvicinano un po’ di nascosto per prendere il cibo da mangiare… Un po’ di nascosto perché sono diventati poveri da un mese all’altro. E hanno vergogna. E questo succede, succede, succede… Fino a ieri vivevano una vita dignitosa… Basta un niente oggi per diventare poveri: la perdita del lavoro, un anziano non più autosufficiente, una malattia in famiglia, persino – pensate il terribile paradosso – la nascita di un figlio: ti può portare tanti problemi, se sei senza lavoro».

«Considerare il welfare una infrastruttura dello sviluppo e non un costo» è dunque una “importante battaglia culturale”, osserva il Pontefice. E, prima di congedarsi, fa alle ACLI un’ultima, ma non meno importante richiesta: «Il vostro impegno abbia sempre il suo principio e il suo collante in quella che voi chiamate ispirazione cristiana». Rinfresca perciò la memoria dell’associazione ricordando le “tre storiche fedeltà” che la animano da 70 anni: ovvero la fedeltà “ai lavoratori, alla democrazia e alla Chiesa”. Tutte queste, conclude, «si riassumono in una nuova e sempre attuale: la fedeltà ai poveri».

Raffaele Russo