Con l’elezione del nuovo governo, l’Imu diventa un rebus che mette in allarme i Caf, pronti sì a reggere l’onda d’urto dei contribuenti che di qui al 17 giugno (data di scadenza dell’acconto) affolleranno gli sportelli per farsi calcolare l’imposta sull’abitazione, ma anche desiderosi di chiarezza per quanto riguarda l’applicazione delle aliquote comunali. In effetti l’insediamento dell’esecutivo presieduto da Enrico Letta, con possibili, e auspicate, revisioni sulla tassa, e l’imminente scadenza, entro il 16 maggio, per la pubblicazione delle delibere locali con cui si conosceranno le percentuali di prelievo del 2013 (in assenza delle quali si continueranno ad applicare quelle del 2012), creano un ingorgo istituzionale che rende complicato il lavoro di chi presta assistenza fiscale.
Morale: calcolare il 50% dell’acconto direttamente sulla base delle aliquote stabilite nel 2012 renderebbe tutto più semplice e lineare, senza dover aspettare l’approvazione e la pubblicazione delle nuove delibere. Tale, quindi, è stata la richiesta avanzata dalla Consulta Nazionale dei Caf, ovviamente con la prospettiva di rimandare i calcoli definitivi al saldo di dicembre 2013, esattamente come accaduto lo scorso anno. A rendere tutto più incerto vi è poi l’incognita di cosa il nuovo governo intenderà fare con l’Imu. Su questo punto c’è da aspettarsi una forte pressione da parte del Pdl che vorrà spingere per un cancellazione tout court dell’imposta sulle prime case, leit-motiv di tutta la campagna elettorale azzurra, mentre posizioni più prudenti farebbero pensare a una rimodulazione del prelievo in base a criteri di progressività reddituale.
“È partita la macchina per la compilazione delle dichiarazioni dei redditi – spiega il presidente della Consulta Valeriano Canepari – e la gente già si presenta da noi per sapere dei pagamenti. C’è grande incertezza. Siamo in attesa di capire se ci saranno o meno decisioni di cambiamento da parte del futuro governo. Ma comunque lo slittamento al 16 maggio delle possibili modifiche dei comuni ci sta creando negatività gestionali. Sarebbe stato molto meglio usare la regola del passato, cioè far pagare al primo acconto la metà di quanto versato nell’anno precedente”.
Nel frattempo, una stima del centro studi Nens, riportata on line dal Sole 24 Ore (il Nens è stato fondato da Vincenzo Visco con l’ex segretario Pd Pier Luigi Bersani), attesta che la rimozione dell’Imu sull’abitazione principale sarebbe di fatto un regalo ai più ricchi, più di quanto non lo sarebbe per i meno abbienti. Oltre il 44% del gettito prima casa, spiega infatti il Nens, proviene dal 20% dei contribuenti più ricchi, a differenza dei più poveri che ne hanno pagato appena il 2,4% (cioè 95 milioni). Con questo, però, scrive il Nens, non si vuole negare che “una revisione dell’Imu è certamente necessaria. Occorre, in particolare, alleggerire il carico sulle abitazioni principali di valore medio e medio-basso (il Partito democratico propone di innalzare la detrazione a 500 euro) rendendo l’imposta più equa. Altra cosa è invece l’abolizione totale dell’Imu sulle prime case. Le ingenti risorse necessarie per esentare le abitazioni principali di valore più elevato potrebbero infatti essere meglio finalizzate utilizzandole per ridurre il carico fiscale sui redditi da lavoro e da impresa”.