di Ubaldo Rinaldi* –
Parlare oggi di lavoro, soprattutto di lavoro manuale, sembra sia anacronistico e questo, a mio avviso, è determinato da due fattori. Il primo è da ricercare nella “ cultura” che abbiamo prodotto negli ultimi decenni, che ha volutamente trascurato il concetto di lavoro; il secondo è dovuto alle difficoltà oggettive che ci troviamo ad affrontare e al disorientamento che ci producono gli indicatori, il Pil,lo spreaad,l’indice della borsa detti,a mio avviso, impropriamente indicatori di benessere sociale, che trascurano e mettono in secondo piano l’assenza di lavoro,vero dramma del nostro paese e non solo.
Negli anni settanta ci eravamo illusi che la nostra civiltà avesse a cuore il lavoro considerandolo bene prezioso e irrinunciabile, lavoro inteso come attività materiale o spirituale, tendente ad un risultato utile per chi lo svolgesse e per l’intera collettività. Pensavamo, sbagliando, che questa considerazione fosse ormai acquisita e che per sempre avesse sostituito l’idea che del lavoro aveva la cultura classica,la quale esaltava la condizione dell’ozio superiore a quella del lavoro.
Anche l’antropologia del lavoro di S.Tommaso, che legava intrinsecamente l’esigenza del lavoro con la stessa natura umana, sembra oggi offuscata.
Negli orientamenti congressuali le Acli così esprimono l’esigenza di un lavoro dignitoso: “Rilanciare la centralità del lavoro, in un contesto politico e sociale che tende a frammentare e a scomporre le diverse dimensioni della vita umana e sociale, impegna le Acli a definire un nuovo modello di società e di civile convivenza. Si tratta di garantire lo sviluppo equilibrato del pianeta, di dare nuovi fondamenti alla cittadinanza a partire dalle istanze poste dai giovani. Siamo convinti che si può contrastare la finanziarizzazione dell’economia, che ha generato questa crisi e travolto ogni regola di sostenibilità sociale e umana, solo mettendo il lavoro nel cuore della questione antropologica,non solo sociale. La negazione dei diritti fondamentali dei lavoratori in nome della logica del mercato globale mette in crisi la stessa possibilità di un futuro sostenibile.” Credo che la chiave di lettura fornitaci dall’Acli costituisca la lente di ingrandimento con cui leggere la nostra situazione lavorativa. La rivendicazione del lavoro è il primo strumento per emanciparci da tutte le dipendenze. Il diritto al lavoro è innanzi tutto il diritto ad affermarci come individui. Se questo vale per tutte le donne e per tutti gli uomini, assume una valenza ancora più marcata per i nostri giovani. Occorre fornire ai giovani l’occasione di attività lavorative collegate ad un equo reddito. Occorre costituire agenzie per il lavoro giovanile, che consentano a ciascuno di svolgere una attività nel rispetto del loro percorso di studio o del loro percorso formativo.
L’istruzione e la formazione devono saper elaborare le loro proposte formative capaci di fare sintesi fra questi termini: educazione- professionalità, dove per educazione si deve intendere quella pratica di tipo maieutico, finalizzata ad esprimere, rafforzare e valorizzare le risorse presenti in ciascuno di noi. Per professionalità si intende l’esperienza multidimensionale incentrata sulle competenze, che si sviluppa nella costante interazione tra soggetto, contesto formativo ed ambiente lavorativo e di vita e che coinvolge cultura e personalità del soggetto. Se il mondo dell’educazione non ritrova presto il senso del suo essere e non richiama tutti alle proprie responsabilità, se l’istruzione e la formazione non sapranno dimostrare che l’indice di benessere di un paese non è solo il PIL, ma è soprattutto l’indice di sviluppo di competenze dei propri abitanti, c’è poco da sperare e da illudersi.
Fino a quando i giovani non avranno riconosciuta la loro dignità e non saranno liberi di intraprendere un progetto di vita, non riusciremo ad uscire dal tunnel in cui siamo. Non c’è dignità umana non solo quando non c’è da mangiare, non c’è possibilità di lavoro, non c’è libertà di informazione e di libertà politica, non c’è dignità umana soprattutto quando viene negata l’istruzione, che nutre la ragione e fa maturare il pensiero. Non c’è dignità anche quando la possibilità di immaginare un futuro è spenta, perché non è stata nutrita quando era necessario.
Sono sicuro che, se tutte le energie positive, e sono tante anche se silenziose, del nostro paese sapranno far sentire la loro voce, saremo capaci di invertire la direzione e ritrovare un futuro sereno. Non abbiamo ancora molto tempo prima di toccare il punto di non ritorno ad una situazione di normalità: anche per questo è indispensabile aiutare i giovani a cercare il loro futuro. A ciascuno buon primo maggio.
*Presidente Associazione e Fondazione En.A.I.P S.Zavatta Rimini