Alberto Marvelli avrebbe desiderato frequentare l’Accademia navale di Livorno, ma non fu accettato per una lieve forma di astigmatismo.
Si iscrive allora all’Università di Bologna alla Facoltà di ingegneria meccanica. «Non sono andato poi in nessuna Accademia. ll Signore ha disposto diversamente».
Subito Alberto si iscrisse alla Fuci e iniziò a frequentare il circolo fucino “Marcello Malpighi”, che da qualche tempo era rinato a nuova vita e stava svolgendo, tra molti contrasti esterni, un eccellente lavoro di apostolato nell’Università, sia sul piano culturale, sia religioso. Aveva un direttivo formato da ottimi membri: Delfini, Carlo Rossini, Benigno Zaccagnini, Maria Strassera, Giuseppe Gobello, Giovanni Bersani e teneva costanti contatti con Igino Righetti e Aldo Moro. L’esperienza fucina era vissuta con entusiasmo e serietà: a volte bastavano pochi incontri per trasformare una persona, sia sul piano spirituale che intellettuale. Alberto ne assimilò lo spirito ritraendone nuovi stimoli di ascesa spirituale e di formazione culturale. Nella Fuci veniva curata una religiosità molto aperta, adatta a un ambiente di alta cultura; si dava largo spazio alla meditazione della Sacra Scrittura e alla recita delle ore canoniche, anticipando tendenze che solo dopo il Concilio Vaticano II si sarebbero largamente diffuse nella Chiesa.
«Dobbiamo santificare il nostro impegno universitario fino a farne una forza capace di cambiare la vita del Paese». Era l’impegno che Righetti dava allora ai fucini.
L’impulso culturale e spirituale dato da Righetti, assieme all’assistente nazionale, monsignor Giovanni Montini, rimase operante e animò la Fuci bolognese, e di riflesso il gruppo dei riminesi, anche quando Righetti passò ai Laureati Cattolici.
Erano gli anni in cui la cultura italiana si apriva alla filosofia di Jacques Maritain. Non solo si diffondevano le sue opere, ma il suo pensiero dava luogo a dibattiti e approfondimenti, soprattutto nelle riviste e nei congressi della Fuci, dove si dibattevano temi di sociologia e di religione «recuperando quell’armonia spesso trascurata da altre associazioni cattoliche, fra vita spirituale e ricerca culturale, affidando ai tempi lunghi la realizzazione di una presenza sociale effettiva e determinante».
Alberto visse questo periodo culturale e spirituale con intensa partecipazione. Subì l’influsso, nella sua formazione cristiana e politica, del pensiero maritainiano. Lesse più volte “Umanesimo integrale“; la prima volta all’università e a Torino negli anni Quaranta. Lo postillò con osservazioni sue e sottolineando le frasi più significative. In margine a un capitolo, troviamo scritti alcuni pensieri sull’atto di fede e sull’incidenza della fede nella vita.
Chi lo avvicinava vedeva in lui non soltanto l’amico di studio, cordiale, disponibile e gentile, o il giovane impegnato apostolicamente. Alberto lasciava trasparire un mondo interiore che colpiva e affascinava.
Presso i compagni di università godeva di una stima universale per le sue doti umane e del rispetto di tutti per la sincerità della sua fede. Era un ragazzo straordinario, sano in tutti i sensi, sempre ottimista, ma anche immerso nella vita del suo tempo. «Era un cristiano perfetto – dirà una sua compagna – aveva una forte carica umana, modesto, umile, riservato e rispettoso».
Negli anni dell’Università, durante l’estate Alberto lavora. Le scarse risorse economiche della famiglia, dopo la morte del babbo, non gli permettono di essere mantenuto agli studi. Come molti altri studenti, lavora negli stabilimenti saccariferi della zona, durante il periodo della raccolta della barbabietola da zucchero. Nel 1940, l’anno prima della laurea, lavora per tre mesi, dal 24 agosto al 30 novembre, alla Fonderia Bagnagatti di Cinisello Balsamo a dieci chilometri da Milano; gli serve per prendere contatto con il mondo industriale e per approfondire alcuni aspetti della tesi di laurea, che sta preparando.
Il 1941 è l’anno più pesante per Alberto universitario; ai primi di febbraio dà due esami ed entro marzo ne dà altri cinque: sono gli ultimi prima della laurea, che prepara con cura, visitando stabilimenti di meccanica a Ferrara e a Modena. Il 30 giugno, dopo 5 anni di università, si laurea con 90/100.
«Avevamo occasione di parlare di problemi di carattere formativo e sempre rimanevo profondamente impressionato dalla sua alta statura morale e spirituale; lasciava intravedere una profonda vita di pietà, di preghiera e di conoscenza della dottrina cattolica – disse di lui Dante Benazzi –. Una profondità interiore fuori del comune. La sua presenza imponeva rispetto e nelle conversazioni che nell’ambiente goliardico facilmente sconfinavano nello scurrile, bastava un suo cenno perché il discorso prendesse altri indirizzi».