Elio Verdinelli, primo direttore del Centro Zavatta di Rimini, ci ha lasciato il 31 ottobre 2016
Caro Elio amico mio,
Asciugate le lacrime, che non sono stato capace di trattenere durante il tuo funerale e ancora incredulo che tu ci abbia lasciato, desidero scriverti queste parole che mi salgono prepotenti in gola.
La narrazione del nostro rapporto autentico e sincero ha sempre poggiato su due colonne: la stima e l’amicizia quali doni che ci siamo scambiati reciprocamente. Seneca diceva che la legge del dono fatto da amico ad amico è che l’uno dimentichi presto di aver dato, e l’altro ricordi sempre di aver ricevuto: parole queste che hanno disegnato e colorato il nostro impegno all’Enaip.
Come l’acqua che lentamente cadendo a terra si espande, così ora i ricordi nella mia mente chiedono spazio. Ricordi Elio il primo giorno che ci siamo conosciuti? Mi parlasti subito del rispetto dovuto ai giovani che si approcciavano alla formazione professionale per entrare da protagonisti nel mondo del lavoro. Usasti una parola grande, “solidarietà”, che tu declinasti con azioni concrete, fatte proprie in funzione della tua fede nutrita e servita in silenzio quale testimonianza umana e cristiana di un saldo impegno sociale aclista.
Da qui del resto nasceva il tuo impegno generoso profuso con i giovani diversamente abili. Ogni intervento che progettasti e realizzasti in loro favore, per tutti e per ciascuno di loro, ha significato uscire dal baratro dell’esclusione, della marginalizzazione e dell’isolamento. Allora sembrava follia sperare che quei giovani precedentemente reclusi in strutture totalizzanti o vissuti in totale segregazione potessero trovare la dignità sociale, lo sviluppo delle relazioni e la gioia dell’essere. Ricordo ancora una tua perspicace intuizione, mi dicesti: «Io penso che la disabilità, anche attraverso l’intervento lavorativo occupazionale, possa permettersi un altro modo ingegnoso di vivere». E così sorsero cooperative sociali che tu auspicasti e sostenesti, nella ceramica, nei servizi, nell’artigianato e perfino in attività florovivaiste. Tutto ciò formò in città una rete sociale, contribuendo alla cultura del sociale, tanto da poter pensare a Rimini “autentica città ad alta socialità”.
Di più: quanti giovani riminesi hanno pestato le rampe di scale del Centro Zavatta? Ti sei mai chiesto quanto la città di Rimini ti deve di riconoscenza? E quanto il mondo del lavoro riminese?
Ricordo quel giorno, che segnava una ricorrenza, mi pare il 25° anno della fondazione del Centro Zavatta, tu radunasti tanti ex allievi ormai adulti che da tempo lavoravano e altri divenuti imprenditori con aziende ben avviate e ben inserite nel tessuto connettivo economico della città. Quel giorno si fece festa mentre ora mi tornano alla memoria le loro parole e i loro gesti semplici ma carichi di significato: ti abbracciavano e ti ringraziavano per l’attività del Centro Zavatta, per averli fatti sentire orgogliosi di essere portatori dei valori della persona e della dignità del mondo del lavoro. Tu mi chiedesti allora che emozioni stessi provando anzi le condividemmo insieme, ricordo che citai Freud che vedeva nell’amore e nel lavoro le fondamenta del progetto esistenziale dell’uomo. Ci fu facile poi pensare insieme che lo stesso messaggio era stato scritto già nel Nuovo Testamento.
Mi stavo chiedendo, caro amico, se chi ti è succeduto al Centro Zavatta potrà realizzare quel tuo progetto che il tempo non ti ha reso possibile realizzare: una fondazione o una associazione di ex allievi, tu l’avresti voluta chiamare “Dalla parte di Marta” facendo riferimento a quella specifica parte del Vangelo. Ma potrebbe anche essere intitolata a tuo nome…
Tu avevi quella spiccata competenza a volgere lo sguardo oltre l’orizzonte, ben comprendevi che la Formazione Professione non era caratterizzata da staticità ma da continua trasformazione aderente a un mondo sempre più in rapida trasformazione. Era finito il tempo di forgiare col fuoco e di lavorare con incudine e martello un semplice bullone di ferro. Entrava allora prepotentemente la rivoluzione informatica e quell’oggetto lo si poteva costruire programmando servomeccanismi computerizzati.
Ti lanciasti sull’onda lunga del progresso industriale così da un lato il settore meccanico fu in grado di rispondere brevemente ai bisogni delle aziende riminesi che chiedevano lavoratori con quelle competenze e dall’altro organizzarsi perfino corsi ad alta specializzazione tanto che degli ingegneri trovarono lavoro nelle metropolitane di New York.
E non è finita qui: il primo impianto fotovoltaico in Emilia Romagna fu radicato al Centro Agricolo di Santa Aquilina, te lo ricordi? Chiamasti a te l’allora preside della facoltà di Ingegneria di Bologna: il professor Pier Ugo Calzolari che diventerà poi Magnifico Rettore di quella Università. Intanto con altri docenti universitari, ricordo i professori Tot e Martello, si espandeva la cultura informatica su tutta la città.
Penso ora che il tuo più bel successo conseguito è stato possibile per l’amore verso i giovani, per le tue competenze professionali e per essere stato capace di ricercare collaboratori che non solo ti hanno stimato, ma ti hanno vissuto come sincero amico.
Li hai coinvolti tutti, dal primo all’ultimo dipendente del Centro Zavatta e allora mi viene in mente quel proverbio che ben si attaglia a questo argomento: solo quando tutti contribuiscono con la loro legna da ardere è possibile creare un gran fuoco… che arde ancora al Centro Zavatta. Tu sai perché…
Un forte abbraccio, amico mio
Maurizio Bartolucci
Un altro bel ricordo di Elio Verdinelli, a firma di Mario Gentilini, si trova sul sito del Ponte, cliccando qui