«Nell’unità essere anche diversità»

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«Proprio dalla accettazione delle diversità come fondamento dell’unità dell’umanità ferita, attraverso il dialogo d’amore, attraverso il reciproco rispetto, attraverso l’accoglienza dell’Altro e la nostra disponibilità ad accogliere e ad essere accolti potremo diventare per il mondo, icone di Cristo, e come lui nell’unità essere anche diversità». Così il Patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, ha concluso la sua lectio magistralis in occasione della consegna del dottorato honoris causa in “Cultura dell’unità” dell’Istituto universitario Sophia di Loppiano, nel comune di Figline-Incisa Valdarno, in provincia di Firenze.

 

Parole accolte dall’appluaso scrosciante di cinque cardinali tra cui Betori, vari vescovi, decine di professori, sindaco di Firenze Nardella e presidente della Regione Toscana Rossi, del preside Piero Coda, della presidente dei Focolari Maria Voce e di circa 1500 persone accorse per l’occasione. Parole che sono sembrate riecheggiare, con la dimensione trinitaria propria della Chiesa di Costantinopoli, la dimensione sinodale appena vissuta dalla Chiesa di Roma, pur tra tensioni e fatiche.

 

Sinodalità, in effetti, vuol dire proprio camminare assieme”, quindi tra persone diverse, tra pensieri diversi, tra sensibilità forgiatesi in contesti diversi, con lo sguardo sempre aperto sull’umanità ferita. Anche l’amicizia profonda e sincera tra Francesco e Bartolomeo è apparsa a più riprese come un punto fermo.

 

«Viviamo in un contesto in cui il pluralismo rischia di essere sacrificato in nome di una falsa unità, che vuole l’appiattimento globale in tutte le manifestazioni dell’uomo», ha precisato il Patriarca, sottolineando così il contesto nel quale la Chiesa si trova a operare e a soffrire, un contesto in cui spesso si prendono lucciole per lanterne, si confonde l’opinione con la verità, si schiaccia l’altro per le proprie confessabili o inconfessabili mire.

 

Camminare insieme” vuol dire che le diverse Chiese cristiane possono e debbono avanzare nella via dell’unità, parlando «la lingua dell’amore», come aveva affermato l’allora nunzio a Costantinopoli, Angelo Roncalli.