SPERANDO CONTRO OGNI SPERANZA, incontro con Giorgio Paolucci giovedì 8 ottobre

Il comitato Nazarat organizza un incontro con il giornalista di “Avvenire” Giorgio Paolucci sul tema “Sperando contro ogni speranza. Martiri cristiani in Medio Oriente”, giovedì 8 ottobre alle 21.15 al teatro Tarkovskij (via Brandolino, San Giuliano Mare).

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Di seguito, pubblichiamo l’intervista a Giorgio Paolucci, dal sito www.inter-vista.it

Sperando contro ogni speranza. I cristiani perseguitati in Medio Oriente ci salveranno

Avete capito bene, sono loro che ci salveranno. Perseguitati, uccisi, torturati, spesso costretti a vivere in campi profughi. Eppure sono loro, i cristiani perseguitati in tanti paesi, e in particolare in Medio Oriente, che possono indicare a noi europei, spesso imborghesiti e intorpiditi, dov’è il tesoro più prezioso della nostra civiltà. “Sperando contro ogni speranza. Martiri cristiani in Medio Oriente” è il titolo dell’incontro organizzato giovedì 8 ottobre (ore 21,15 teatro Tarkovskij a Rimini) dal Comitato Nazarat. Interverrà il giornalista di “Avvenire” Giorgio Paolucci, che abbiamo contattato per anticipare alcuni dei temi che toccherà.

Cosa la impressiona di più di questi testimoni della fede che ha incontrato e incontra tuttora?
«La loro certezza, la certezza con cui guardano ciò che hanno di fronte. E il fatto che perdonano i loro persecutori. Come si fa? Mi viene in mente il video proiettato al Meeting di Rimini dove si vedeva proprio l’origine della fede vissuta da questa bambina, Myriam di Qaraqosh. Con sua madre che spiegava che per lei Cristo è tutto, e lo avrà ripetuto dieci volte in tre minuti! Ecco da dove viene una fede così: da un’educazione. Dobbiamo recuperare questa educazione e la nostra tradizione. L’altra cosa impressionante è che non odiano, ma sperano contro ogni speranza. Nel corso dell’incontro mostrerò anche un video con padre Pierbattista Pizzaballa (il Custode di Terra Santa, ndr) che testimonierà che la vera identità è possibile solo nel confronto con l’altro. Dirà più o meno così: per essere cristiano davvero ho bisogno di confrontarmi con chi è ebreo profondamente, e con chi è musulmano profondamente. Non posso dire “io” fino in fondo, senza dire “tu”. Altrimenti sono mutilato nella mia identità. È per questo, aggiungo, che si può costruire un “noi”».

E qui ci colleghiamo a un tema di strettissima attualità attualità come l’esodo di migliaia di migranti che si stanno spostando in Europa.
«Certo, sbaglia chi parla di “invasione”, perché al contrario proprio il confronto con loro è un’occasione per capire chi siamo. Per ritrovare la nostra identità. Si tratta di un movimento epocale che non ha eguali negli ultimi secoli. E come possiamo evitare che diventi una guerra? Solo riscoprendo il nostro tesoro e valorizzando l’altro, che è costituito dalle nostre identiche esigenze di verità, bellezza e giustizia: quello che la Bibbia riassume nella parola “cuore”. Solo così l’Europa tornerà se stessa: l’Europa della convivenza e non dei muri».

Come possiamo imparare una posizione umana dai nostri fratelli cristiani perseguitati in Medio Oriente e soprattutto in Siria ed Iraq? Cosa ci insegnano?
«Sono certi di ciò che fonda la loro vita: Gesù Cristo. È questo il terreno su cui fondano la loro esistenza. Per Lui vivono, per Lui muoiono, ma facendo di tutto per vivere, ovviamente. E noi, qui in Europa, abbiamo una ragione per vivere e per morire? Ed è la stessa che hanno loro?

I nostri fratelli ci insegnano – e qui proietteremo una scena celebre tratta da un film su Don Camillo – che quando il fiume esonda gli argini e tutto il popolo abbandona il paese, ciò che occorre fare è salvare il seme, perché poi, quando la tempesta e l’inondazione saranno passate, possa portare nuovamente frutto e costruire una nuova civiltà.

Ed è proprio questo che stanno facendo i cristiani in Medio Oriente. Certo, sono uomini, e come tutti gli uomini ci sono tanti che fuggono, è comprensibile, ma ci sono anche tanti che resistono. Lo fanno per salvare una tradizione di duemila anni. E la maggior parte di coloro che ho incontrato, sono persone così: stanno salvando il seme della fede. Non dimentichiamo che Gesù è nato lì, loro sono i primi eredi di Cristo. Ed è a Damasco che Saulo il persecutore dei cristiani è diventato Paolo. È ad Antiochia – turca solo dal 1938, prima siriana – che i seguaci di Gesù sono stati chiamati “cristiani” per la prima volta, come testimoniano gli Atti degli Apostoli. Ecco cosa rappresenta la Siria per il cristianesimo: un patrimonio di fede, teologia e archeologia. Ci dovrebbe essere un occhio di riguardo da parte dell’Europa che si dice cristiana. In Medio Oriente i cristiani sono i tasselli fondamentali del mosaico di civilità, se mancano loro mancherà l’elemento più dialogante. Come ha detto padre Ibrahim Al-Sabbagh, nel suo intervento a Rimini, loro sono il sale. Se Dio ha posto in Siria il suo albero, andremmo contro la sua volontà se pretendessimo di sradicarlo».

Fonte: www.inter-vista.it